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Maurizio Camillo Borra
11/01/2020

Da “Fare Impresa” numero di gennaio 2020
Rubrica curata da Avv. Maurizio Camillo Borra

IL CASO

Antonio, titolare di una impresa individuale a Schio operante nel settore edile, aveva due clienti (importanti imprese edili): con uno produceva un fatturato pari al 65% del totale, con un altro il 20% e il restante con clienti privati.

Per finanziare l’acquisto delle attrezzature Antonio si rivolse ad un istituto bancario che gli concesse le somme necessarie, un piccolo fido e un anticipo fatture salvo buon fine. A garanzia pretese una ipoteca di secondo grado sulla prima casa (quella di primo era stata rilasciata favore della banca che aveva che aveva concesso il mutuo per l’acquisto), oltre ad una fideiussione personale sua e di sua moglie a garanzia di tutti gli importi (finanziamento, conto anticipi, conto s.b.f.).

Per alcuni anni Antonio aveva lavorato aumentando il fatturato fino ad arrivare a circa 800 mila euro l’anno, era stato pagato regolarmente dai suoi clienti e aveva onorato i debiti contratti e prodotto un utile che gli consentiva di pagare le rate del mutuo della prima casa e far fronte alle necessità famigliari.
L’unico consulente era un commercialista che gli teneva la contabilità e provvedeva agli altri incombenti fiscali.

Con la crisi del 2009, Antonio non aveva subito immediati cali di fatturato né mancati pagamenti da parte dei suoi clienti. In realtà dal 2010 al 2013 alcuni piccoli impresari edili come lui erano falliti.
Nel 2014 il suo cliente principale iniziò a non pagare regolarmente e verso la fine dell’anno fallì.
Antonio si trovò senza oltre la metà del fatturato oltre a non poter restituire i soldi anticipati dalla banca relativamente alle fatture emesse.

Concordò con la banca un Piano di rientro. Il suo fatturato si ridusse a 300 mila euro: non riusciva a pagare il canone di locazione del capannone; iniziò a non versare l’iva e a non pagare nessuna imposta per poter avere la liquidità necessaria per onorare i debiti bancari.
A metà del 2016 si rivolse al sottoscritto perché non era piu’ in grado di pagare nessun debito ma piuttosto di fallire avrebbe compiuto anche gesti estremi.

LE PROBLEMATICHE

Le imprese individuale comportano una responsabilità illimitata nei confronti dei terzi creditori: l’imprenditore risponde con tutto il suo patrimonio personale dei debiti contratti e non pagati.

Antonio non si era consultato prontamente con un avvocato esperto in diritto societario e, quindi, non aveva: (i) trasformato l’impresa individuale in srl artigiana: migliore fiscalità e responsabilità limitata per i debiti; (ii) assicurato il credito che aveva con il cliente piu’ importante; (iii) chiesto ogni anno un minimo aumento dei prezzi ai clienti; (iv) chiesto alla banca una riduzione delle garanzie a fronte di pagamento dei debiti; (V) chiesto moratorie per pagamento mutuo prima casa.

LA SOLUZIONE

Considerato che l’azienda non era più in grado da oltre dieci mesi d far fronte ai propri debiti, spiegai che un fallimento non è la fine della propria attività ma un nuovo inizio e consigliai di procedere: (i) con la richiesta di fallimento in proprio; (ii) apertura da parte del figlio di una srl artigiana unipersonale con assunzione del padre come dipendente (da comunicare al curatore); (iii) attendere l’asta della prima casa e, intanto, rimanervi dentro.

LE CONSEGUENZE

  1. Nessun reato fallimentare contestato.
  2. SRL del figlio ha piccoli clienti e un discreto margine: Antonio e la moglie vivono con lo stipendio.
  3. La casa alla terza asta è stata aggiudicata al figlio.

Fare impresa Borra BBCZ

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